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venerdì, giugno 20, 2008

scalfaro, berlusconi e giustizialismo

Il nuovo scontro tra berlusconi e la magistratura rossa sta ridando spazio e forza a quella parte della sinistra legata al giustizialismo, guidata al parlamento da di pietro e scalfaro.

Oscar Luigi Scalfaro, durante il suo mandato al Quirinale, inventò il ribaltone a favore del centrosinistra.
Il suo settennato fu devastante per le deboli istituzioni repubblicane, si schierò contro Berlusconi, se ne infischiò del ruolo super partes e le regole elementari di una corretta dialettica democratica furono violate diverse volte.
Scalfaro è stato un pessimo presidente della Repubblica (non l’unico).

Avendo nei confronti di berlusconi una incompatibilità che sfocia in avversione, Scalfaro non poteva esimersi dall’esternare sullo scontro tra Berlusconi e le toghe ed intervistato dai giornali lo attacca nuovamente.
In una intervista al Corriere il senatore a vita ribadisce il suo antiberlusconismo, confessa di aver avuto simpatie per i girotondi, e se la prende con Berlusconi che ritorna con i proclami contro le toghe rosse.

Sponsor del veltronismo e garante giustizialista dell’ordine giudiziario, in riferimento al decreto appena approvato dal governo, Scalfaro parla di intervento incostituzionale e rivolge un appello a Berlusconi, chiedendogli di fare un sacrificio nell’interesse del nostro popolo e lo invita ad affrontare la sofferenza di una procedura giudiziaria.

Nulla da obiettare sul principio evocato da Scalfaro, in effetti dovrebbe essere la stella polare seguita dai politici, ma la storia insegna che questo principio rimane sulla carta e mai applicato, insomma si predica bene, ma si razzola male.

In questo periodo repubblicano, non certo esaltante, troppo spesso coloro che hanno avuto grandi responsabilità della cosa pubblica hanno invece pensato ai loro interessi, ormai gli italiani sanno che il sacrosanto principio di operare per gli interessi del popolo è stato dimenticato dalla classe politica.

Anzi aggiungo che la repubblica ha sollecitato ed insegnato agli italiani a fregare il prossimo pur di fare i propri interessi, in questo contesto la repubblica è diventata lo stato dei furbi e dei disonesti.

Altro aspetto inquietante è la Giustizia che, non solo non funziona, ma opera spesso seguendo progetti politici, eliminare il personaggio scomodo di turno.
Se in uno stato esiste una magistratura politicizzata non può esistere una vera, quanto necessaria, Giustizia.

Piuttosto chi invece ha dimostrato di applicare il principio, evocato da scalfaro, è stato l’indimenticabile Re Umberto II il quale, anche se aveva il diritto e dovere di attendere che la Corte di Cassazione verificasse la correttezza del referendum istituzionale, per scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori, nel supremo interesse della Patria, decise di abbandonare l’Italia.

venerdì, giugno 13, 2008

Referendum irlandese boccia il trattato di lisbona

In una repubblica il capo dello stato superpartes è una leggenda metropolitana, una falsa percezione della verità propagandata dalla repubblica.

Si dice con enfasi che il presidente della repubblica è al di fuori delle parti e che non fa politica.
Ebbene Napolitano continua a fare politica non solo con la chiara intenzione di condizionare il parlamento italiano ma si permette di dare indicazioni agli altri stati.
Infatti ha chiesto di lasciare fuori chi dice no. Non si può pensare che la decisione di poco piu' della metà degli elettori di un Paese che rappresenta meno dell'1% della popolazione dell'Ue possa arrestare il processo di riforma.

Innanzitutto la percentuale detta da napolitano non ha senso in quanto ricorda solo gli irlandesi e non anche i francesi,olandesi, e danesi che precedentemente avevano bocciato i trattati europei.

Inoltre se poco più della metà di un popolo, che corrisponde all'1% degli europei, non può bloccare il cosiddetto processo di riforma allora mi permetto di ricordare che questo processo è voluto dagli euroburocrati di bruxelles (una minoranza), e che in Italia la decisione è stata presa solo dal Parlamento, cioé da circa 1000 persone, una quisquilia rispetto alla popolazione.
In Italia l'adesione alla costituzione ed ai trattati europei è stata presa dalla casta dei politici, la repubblica italiana non ha permesso agli italiani di decidere il loro futuro.
A quanto pare napolitano non rispetta la scelta democraticamente voluta dai popoli che con un referendum hanno bocciato il trattato.
Alla faccia del principio, così tanto decantato dai repubblicani, che la sovranità appartiene al popolo.

La verità è che quando i popoli sono stati consultati con un referendum, i trattati costituzionali europei sono stati rifiutati.

L'Europa è fatta dai popoli, non dagli euroburocrati

Ue: Napolitano, non partire da zero
Capo Stato, 'lasciare fuori' chi blocca costruzione europea

(ANSA) - ROMA, 13 GIU - Dopo il no irlandese al Trattato europeo 'non si puo' ripartire da zero'. Lo dice Napolitano che chiede di 'lasciare fuori' chi dice no.'Non si puo' pensare -afferma- che la decisione di poco piu' della meta' degli elettori di un Paese che rappresenta meno dell'1% della popolazione dell'Ue possa arrestare il processo di riforma'. Quindi 'l'iter delle ratifiche dovra' andare avanti' ed 'e' l'ora di una scelta coraggiosa' lasciando fuori dalla costruzione europea, 'chi minaccia di bloccarla'.

ansa

giovedì, giugno 12, 2008

Discorso di Re Umberto - 13.06.1946

La lettura del discorso pronunciato da Re Umberto II prima della partenza per l'esilio il 13 Giugno 1946.



Italiani!

Nell'assumere la Luogotenenza Generale del Regno prima e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato. E uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.

Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte Suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giungo il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risoluta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.
Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.

Italiani!
Mentre il Paese, da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto. Confido che la Magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono una delle glorie d'Italia, potrà dire la sua libera parola; ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice dell'illegalità che il Governo ha commesso, lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come Italiano e come Re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della Corona e di tutto il popolo, entro e fuori i confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto.

A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all'ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l'esortazione a voler evitare l'acuirsi di dissensi che minaccerebbero l'unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace.
Con animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d'Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani.
Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.
Viva l'Italia! Umberto

Roma, 13 giugno 1946.